Uno scultore giudica l’architettura: Amerigo Tot

(BRUNO ZEVI, L’Architettura, cronache e storia, anno III, No. 25, Milano, November 1957, p. 490.)

— by BRUNO ZEVI

Sull’arcitettura antica — Non sono mai riuscito a capire la ragione per cui si usa formulare un giudizio sull’architettura del passato e uno sull’architettura di oggi. Non ci sono unità di misura differenti per l’una o per l’altra: l’architettura è una sola. Temo che la smania filologica di tracciare un fosso fra passato e presente sia miopia accademica. L’uomo ha trovato un grando perfetto di espressione solo in una prefetta coesione di tutte le arti plastiche: scultura, architettura, pittura. Per un equivoco abbastanza diffuso, alcuni regionato che scultore e architetto si influenzo o debbano influenzarsi reciprocamente, sul piano formale. È l’errore tipico degli estetisti. Il principio sintetico in cui la opera aderente dello scultore e dell’architetto deve recuperarsi non consiste nell’influenza sella scultura sull’architettura o viceversa, ma è un principio esterno e anticipato delle due arti.

Sull’architettura moderna — Supponiamo che un architetto come Wright e un pittore come Picasso siano chiamati a collaborare alla creazione della stessa fabbrica. Nessuna delle due personalità si ispirerà ai dettami dell’altra, ma insieme creeranno una sintesi. La collaborazione tra un architetto come Van Doesburg e un pittore come Mondrian non rappresenterebbe che una iterazione di tema, e non uno sviluppo di concezioni alla ricerca di una sintesi più profonda. Insomma non sono le influenze formali che determinano i fatti espressivi.

Scultura e architettura — Quando la coesione tra le arti apparve difficoltosa, si inventò la rettorica dell’architettura « nuda », della parete « lirica », e della superficie « poetica ». Il geometrismo astrattista di origine calvinista olandese dettò moduli che l’architettura fece propri, credendoli propri. Fu un equivoco che portò ad alcune produzioni solenni ed insignificanti: nel migliore dei casi, ad una poetica barocchistica secondo la quale l’architettura « nuda » aveva in sé i modi per cui sembrare anche scultura e pittura. Un altro equivoco, in cui cadono ancora molti architetti: quello di definire come decorazione tutto quel contrabuto di fatti e di idee che la scultura e la pittura sono chiamate a portare nella vera architettura, come sempre è stato. Sono uno scultore e qualche architetto penserà che io faccia il « cicero pro domo mea », ma gli architetti del Duomo di Orvieto non avebbero mai pensato sciocchezze simili sul conto dei Maitani. Bisogna che gli architetti moderni si persuadamo dell’urgenza che è nei migliori scultori: l’urgenza di esprimersi in seno al processo formativo dell’architettura. La sintesi delle arti plastiche è una sottile e necessaria collaborazione degli spiriti, un « sodalizio civile » tra architetto e scultore tesi, in spontanea concordia, a creare un unico e medesimo fatto culturale.