Architettura — Un fregio in sordino

(BRUNO ZEVI, L’architettura, cronache e storia, Roma, 15 June, 1954)

— by BRUNO ZEVI

Una fascia di alluminio lunga 128 metri è stata alzata a fregio della Stazione di Roma. I romani non se ne sono quasi accerti. Vuci dire che sta bene? Ormai ci eravamo abituati a vedere, di fronte all'atrio della Stazione, quella lunga tendina di cemento armato, alta m. 2,54, che scendeva, scabra e inelaberata, dalla pensilina. Qualche anno fa si svolse una polemica a proposito della decorazione da sovrapporvi, e impegnò architetti scultori e pittori. L'intero problema dei rapporti tra architettura e arti sussidiarie fu riproposto. Si diceva: in ogni epoca di cultura coerente, uno stesso gusto ha informato le arti figurative; anche recentemente all'architettura dei volumi sospesi e delle terse superfici funzionalisticne si è accordata la pittura appiattita e «quadridimensionale» del cubismo. Ma la massa ondulata e plasticamente rigonfia e flessuosa dell'atrio della Stazione esige una decorazione più viva, carnosa, cromaticamente carica. Chi ne sarebbe stato l'autore? Gli architetti non lo sanevano. E allora perchè avevano predisposto la tendina? Vi immaginate Ictino e Callicrate che disegnano il timpano del Partenone senza aver coscienza che c'è un Fidia a disposizione per scolpirlo o, per lo meno, una cultura plastica consona al loro linguaggio architettonico? I progettisti della Stazione risposero all'accusa implicita in questi interrogativi: la fascia era necessaria per ragioni funzionali, statiche ed estetiche. Serviva a proteggere dalla pioggia il traffico automobilistico sottostante e dal sole pomeridiano l'atrio dei biglietti. Serviva da controventamento per le travi curvilinee della pensilina. E infine, visualmente, denunciava l'esistenza di un corno avanzato rispetto al masso degli uffici. Senza la tendina, affermavano gli architetti, l'atrio sarebbe apparso da lontano come un enorme fornice aperto nel corpo centrale. La fuga delle travate curvilinee provocava nella, linea terminale della pensilina un'aberrazione prospettica che bisognava, correggere mediante un forte motivo orizzontale; per la stessa ragicne i pilastri di sostegno erano stati rivestiti dì marino scuro e perciò resi indistinguibili nell'ombra. Ammesso tutto auesto, rimaneva il quesito: quale decorazione? e teme eseguirla? Inizialmente gli architetti avevano pensato di predisporre casseforme a piani sfalsati atte a riprodurre in negativo la fascia: il getto di cemento, compresso nelle casseforme, 'doveva risultare in un blocco monolitico, strutturalmente e artisticamente unitario. M a v'era fretta, la Stazione doveva essere inaugurata, approntare casseforme di tale specie sarebbe stato lungo e costoso, e perciò tutto fu rimandato. Con la triste conseguenza che la decorazione, comunque concepita, sarebbe stata sovrapposta alla tendina, non più parte integrante di essa. Vari artisti presentarono bozzetti. Alcuni pensarono a un mosaico, altri a una fascia plastica colorata. Vi fu chi prepose una decorazione figurata, ma i più inclinarono per un disegno astratto. Gli stessi architetti erano d'accordo su questo punto: niente pretese retoriche e commemorative. Ogni tanto si facevano prove attaccando alla tendina strisce di alluminio di varia lucentezza. La gente, correndo ai treni, guardava incuriosita. Poi, in pochi giorni, il fregio è stato montato e quasi non se ne è accorta. I critici discettano di curve altimetriche, di linee geodesiche, di angolazioni dinamiche; subito dopo, con illazione simbolista, di ritmi di bielle e stantuffi, di « poesia del treno », del battito di compressori e trattori. Sulla opera di Amerigo Tot si possono sbrigliare indifferentemente la critica astrattista e auella allegorica che riprende i motivi futuristi della poesia delle macchine e del rumore. Per questa rubrica non ci interessa che il valore architettonico del fregio. Si addice al linguaggio degli architetti? Ne potenzia l'espressività? Direi che la reazione del pubblico, una volta tanto, orienta nel giudizio. Cromaticamente, vista da lontano, la fascia di Tot è un commento di tono leggermente più brillante rispetto ai partiti orizzontali dell'edificio. In una, visione ravvicinata si apprezza la gamma dei vari toni dell'alluminio, ora luminoso ora opaco ma si perde la veduta d'insieme. Ad un esame minuzioso irrita la giustapposizione del cemento della tendina con lo spessore della fascia decorativa; vi è un senso di appiccicato, una discontinuità di materia elle si vuole e non si riesce a celare. Evidentemente gli architetti sono rimasti legati all'idea originaria di una unica colata per la tendina e la sua decorazione; non potendo eseguirla, ne hanno tentato una realizzazione artificiale. Forse bisognava cambiar strada, pensare a una decorazione palesemente sovrapposta, ricca di colore, tematicamente più impegnativa. Non c'è dubbio che, qualora non fosse riuscita, avrebbe rovinato la Stazione; ma, in un caso fortunato, ne avrebbe ravvivato, esaltato il linguaggio. La soluzione presente è andata per la tangente. E' una soluzione poco rischiosa, ma corretta. Entro questi limiti, il giudizio è decisamente positivo.